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tredici tweet per ricominciare a scrivere libri

Non ho mai fatto quei thread chilometrici e preventivati che alcuni fanno su Twitter. Stasera mi sono accorto che ne stavo facendo uno, e così, per quel che vale, me lo ricopio qui per pensarci su.

Del tutto banale pensare che persino in queste pagine mie  in qualche  dozzina di mesi ho aggiunto ben poco di concluso (contr:  sconclusionato).


Ho riaperto dopo chissà quanto il mio “Analisi chimica per l’arte e il restauro”, che ho scritto nel ’96. Ne ho letto una mezza pagina iniziale insieme ai ragazzi cui inizio a spiegare l’analisi, non per esibire qualcosa (cosa?) ma per vedere il confronto tra il linguaggio

che a me sembrava abbastanza semplice per un pubblico di adulti un quarto di secolo fa, e le loro capacità di comprensione verbale, prima di entrare in quelle concettuali. Un esercizio che faccio spesso con cose scritte da me per rendermi conto del livello di separazione

tra due modi di esprimersi. Quello che a me sembra, o sembrava anni fa, sufficientemente semplice e possibilmente stimolante, non disadorno, per persone con una accettabile cultura di base ma in campi diversi dal mio, e quello con cui mi devo confrontare con il gruppo

di persone cui devo rivolgermi hic et nunc, e che spesso sono diverse non anno per anno ma anche in due classi parallele. Il che è quasi indispensabile per spiegare in modo efficace. Non faccio la semplice retorica dell'”ogni anno sono peggio”, perchè non è vero,

se il livello medio generale ormai è inconcepibilmente basso rispetto a quel che la scuola pubblica dovrebbe garantire e pretendere, questa media è fatta da valori statisticamente dispersi ma che comprendono anche soggetti più che in grado di stare al gioco che la scuola

dovrebbe proporre e giocare insieme a loro. La riflessione più seria è personale, sulla mia lingua, sulla mia capacità di insegnante (comunicatore? divulgatore?) e su come si è evoluta o involuta da quando scrivevo libri. Nei 23 anni da quando ho chiuso l’ultimo ho scritto

in rete, su giornali o chissà dove abbastanza parole per riempire due dozzine di libri, ma sento troppo la difficoltà di scrivere in modo ordinato e concluso, non frammentario, di mettere una parola fine dove so che in realtà non finisce niente, e qualcosa domattina

sarà già superato (visto che perlopiù scrivo di cose tecnico-scientifiche).
Ho nella testa, e già aperti sui pc, almeno tre libri, da anni. Nella testa sono quasi completi, si tratta solo di trovare l’introvabile voglia di dire “si comincia” e di puntare un obiettivo

da raggiungere per dire “basta, finito”. Una volta mi ponevo un limite di tempo, diciamo un paio di mesi, e ce la facevo anche lavorando tutto il giorno in azienda. Ma scrivevo per lettori che in parte conoscevo e di cui sapevo le capacità di comprensione, appunto. È stare

nella scuola, che da un lato mi riempe troppo di dubbi, dall’altro mi fa pensare che passeranno settimane o mesi tra quando ho pensato delle parole e quando verranno lette da qualcuno, che non è più chi ho in mente hic et nunc. Però mi rendo conto che ormai non è più

il tempo di aspettare, perchè passa il mio tempo individuale, ma passa anche il tempo del mondo intorno, e se in questi anni frenetici e convulsi, aperti a un futuro forse migliore, ci dovessero essere quei famosi 25, ho (- il dovere? il bisogno? -) di scrivere.

Se solo trovassi l’ordine mentale, la disciplina per rimettermi a farlo, e avere alla fine quel piacere di chiuderlo. Per poi metterlo magari in rete gratuitamente, come avevo fatto con quello del ’98, tanto i diritti ti pagano poco più che il fastidio di confrontarti

con burocrazie e procedure dell’editore.
Se avessi il coraggio di dire che oso chiudere in una struttura di 150-200 pagine le idee che mi girano nella testa espandendosi come vortici frattali, perchè quel che ne posso dire sensatamente è in fondo così scarso e limitato.

10/9/2021, tarda serata

Come bere un bicchier d’acqua, 18^ edizione

I bimbi crescono, la mamme imbiancano (anche la barba del prof) ma il Bicchier d’acqua va avanti imperterrito, grazie a Federchimica che lo ha voluto tanti anni fa e continua a volerlo per l’Orientagiovani in Assolombarda.

Quest’anno abbiamo avuto la fortuna di ricevere subito il montaggio video ad alta risoluzione (grazie!) e così ne ricavo alcune foto. Col solito limite che i minori non possono essere riconoscibili etc. etc., e quindi non posso mostrare una delle mie migliori protagoniste di sempre e la più giovane in assoluto, la sorprendente Elisa di 1M2 .

La traccia si mantiene come sempre simile a sé stessa ma continuamente adeguata e modificata (dicono che succeda così, agli organismi viventi).
Stavolta, in previsione di 2019IYPT, abbiamo spostato gli accenti sula tavola periodica, ma anche sul 150° del Setificio e sulle polemiche contro la plastica.

Inserisco pochi scatti così per gradire:

Alessandro spiega i danni ai monumenti delle piogge acide, ma poi si impappina sull’Eyjafjallajökull.

L’immancabile lancio delle caramelle (e chissà come mi era venuta l’idea, la prima volta)

In omaggio alle diverse scuole medie, la nostra tavola periodica aggiornata alle ultime indicazioni IUPAC, disegnata da noi e stampata nei nostri laboratori, in transfer a sublimazione su PET. L’avremmo data a tutte le centinaia di ragazzi intervenuti, ma diventava un problema stamparle a mano una ad una…

Ovviamente non eravamo soli sul palco: dopo di noi, sono arrivati gli amici del Molinari di Milano, come sempre con uno show impostato su esperimenti spettacolari.

Ma questo lo racconteremo un’altra volta.

Per le foto ringrazio il servizio tecnico di Assolombarda

La mappa dell’Universo (Scienza dellE materiE, 15 anni dopo)

The Periodic Table as The Map of the Universe… but also resembling a school timetable.

An idea that some very young students suggested me 15 years ago and that became a website.  We had the chance to present this project at the “Scienza under 18” exhibition at the Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia, Milan, at the beginning of a long-lasting connection with Federchimica, and then at the two-days international conference “Scienza ed Informazione” in Como, Villa Gallia.

As 2019 will be the International Year of Periodic Table, I’ve found a backup copy of that site, and so here is the story.

The Chimico Ambientale course at Jean Monnet Institute

In 2003 I was teaching at the Istituto Jean Monnet of Mariano Comense (between Como and Milan). One of the newest high schools in Lombardy, and one of the most innovative in Italy because of three different “experimental” courses.
I was involved on the chemical one, a “Istituto Tecnico Industriale” course about “Environmental Chemistry and Technology“.  One of the very few, and probably the best one in Italy on this topics, as I heard from many colleagues.

Our students not only had sure and goob jobs if they were stopping just after the Diploma, but the large number which were going to University had  often outstanding results – just from the first day: if they tried the admission exams at Milan Politecnico,  they always gained a very high rank, outclassing students coming from the most renowned Licei.

(btw: the reform law, some years ago, simply cancelled Chimico Ambientale from any Italian High School).

The fuzzy idea

As Chemistry is the Scienza della Materia, in our table it became the Scienza delle Materie (Science of Subjects).

Students were asked to think that the element symbols were not about chemistry, but the subjects that they were studying at school – or that they were interested in. So, each entry linked in the table had this structure:

1: the alternative meaning for the symbol

2: its connections with chemistry and our school world

3: something about the real element

4: when available,  links to the chapters of Primo Levi’s masterpiece, Il Sistema Periodico.

Disclaimer: we (I) had no experience at all about HTML structures and the Web was still a wild land, so the actual structure and graphic form where rather horrible.

After a first draft, mostly worked out with boys & girls 14-16 years old, we asked to others, also from different schools, to improve it with their suggestions.

The “elements” linked in the table (at final update) where the following, listed with the metaphorical interpretation and, in case, with a quote from Levi’s book. Sodium is not a chapter, but of course the Birkenau plant produced BuNa and we made a further reference.

Z

symbol

your opinion?

or instead?

Levi’s quote

1

H

Entalpia

Idrogeno

X

2

He

Sole

Elio

3

Li

Libertà

Litio

6

C

Carbonio

X

7

N

Azoto

X

8

O

Organica

Ossigeno

9

F

Fisica

Fluoro

11

Na

Natta (Giulio)

Sodio

*

13

Al

Alchimia

Alluminio

14

Si

S.I.

Silicio

15

P

Philosophia

Fosforo

X

16

S

Storia

Zolfo

X

17

Cl

“17”

Cloro

18

Ar

Arte

Argon

19

K

Potassio

X

20

Ca

Sport

Calcio

22

Ti

Titanio

X

23

V

Volta

Vanadio

X

24

Cr

Colore

Cromo

X

26

Fe

Ferro

Ferro

X

27

Co

Conferenze

Cobalto

28

Ni

Nickel

X

30

Zn

Zinco

X

31

Ga

Galileo

Gallio

32

Ge

Germania

Germanio

33

As

Arsenico

X

35

Br

Bretagna (Gran)

Bromo

36

Kr

Fumetti

Cripto

X

37

Rb

Robotica

Rubidio

38

Sr

Sciocchezze

Stronzio

39

Y

Matematica

Yttrio

41

Nb

Coltan

Niobio

42

Mo

Monnet (Jean)

Molibdeno

43

Tc

Tecnologia

Tecnezio

47

Ag

Fotografia

Argento

X

48

Cd

CD

Cadmio

49

In

Informatica

Indio

50

Sn

Stagno

X

52

Te

Terra (scienze della)

Tellurio

53

I

Italiano

Iodio

55

Cs

CnS

Cesio

57

La

(…?)

Lantanio

58

Ce

Cerio

X

59

Pr

Prova-prova-prova

Praseodimio

61

Pm

Promessi (sposi)

Promezio

63

Eu

Euro

Europio

68

Er

Erba

Erbio

70

Yb

Geografia

Ytterbio

71

Lu

Lucrezio

Lutezio

74

W

Zio ->

Tungsteno

75

Re

Religione

Renio

79

Au

Economia

Oro

X

80

Hg

Mercurio

X

82

Pb

Piombo

X

83

Bi

Biologia

Bismuto

85

At

Attenzione!

Astato

87

Fr

Francese

Francio

89

Ac

Analisi Chimica

Attinio

92

U

Università

Uranio

X

95

Am

Ambiente

Americio

98

Cf

Chimica Fisica

Californio

100

Fm

FM

Fermio

101

Md

Mendeleev

Mendelevio

102

No

Nobel

Nobelio

106

Sg

Stages

Seaborgio

Some years after, the school website was renewed, then I left Jean Monnet for the Setificio in Como, and this table disappeared, also from more recent versions of kemia.it where it was mirrored.
But I feel good to show it once again.

 

With the kind help of my daughter Alice, who attended Jean Monnet many years after.

As the headmaster was at that time a really challenging friend,
prof. Scognamiglio, I’m also adding:
Thank you again, Tommaso.

 

La chimica è di moda, la terza prova non più…

Da quando esiste il nuovo indirizzo Sistema Moda – Tessile, abbigliamento e moda, vi ho sempre insegnato Chimica, al Setificio di Como, così come in precedenza la insegnavo sull’estinto corso di Tessitura (la prima volta, occasionalmente, nel 1988. Sigh).

Tre anni fa, in vista degli esami di stato, avevo raccolto in un volumetto pdf una serie di spiegazioni e discussioni degli esercizi di verifica svolti in classe. Un eserciziario, come si usava tanto tempo fa, e forse potrebbe essere il caso di riprendere se davvero cerchiamo le competenze e non solo il nozionismo.

Da quando ormai tutti gli studenti hanno dimestichezza col web (o almeno non sono più credibili se spergiurano il contrario) avevo infatti iniziato a pubblicare in modo un po’ disparato alcune correzioni; l’idea di riunirle era venuta ad un paio di studenti e ad un collega, in vista degli esami di allora. Anche se su questo sito non ci sono cookie né contatori, per altre vie ho avuto indicazioni del fatto che è stato visto non solo dai nostri bigatt comaschi ma anche da colleghi e docenti sparsi in molti posti.

Nel frattempo il materiale è molto cresciuto, e adesso ho pubblicato la seconda edizione, che è più che raddoppiata. 116 pagine. La copertina è rimasta ad imitazione dei volumetti per autodidatti dell’800, con una vaga ironia (?) sul fatto che certi libri e  metodi didattici, che mi capita di incontrare, avrebbero un bel vantaggio se fossero aggiornati  e pertinenti almeno come quei libretti là…

Diciamolo, oltre la copertina è un caos inguardabile, perché è semplicemente un copiaincolla di materiali sparsi lungo quasi un decennio e per almeno 30 classi diverse. Ma non ho ancora trovato un volontario che me lo sistemi in cambio di un 10 …

Nel 2015 era uscito il 14 giugno, maturità dell’anno, 75° di Francesco Guccini: la dedica è rimasta a Lui.


In compenso quella che si sta per svolgere potrebbe essere l’ultima terza prova scritta. Meno male, perché vent’anni fa era un’idea bellissima, ma il magma viscoso e marcescente del sistema scolastico l’aveva fatta diventare tutto il contrario di quel che doveva essere.

Qui quel che ho scritto nel volumetto di cui sopra, presentando le ultime due “simulazioni”:

Anche questi due testi usano una forma di “tipologia B” che io personalmente non ho mai condiviso ma che gli studenti, il più delle volte, hanno evidentemente accettato.

Mi sorprende, perché in tutti i casi in cui, per tanti anni, gli è stata offerta la possibilità di confrontare metodi alternativi, questa era regolarmente la “tipologia” che portava a risultati più insoddisfacenti: ma chi sono io per trarre le logiche conclusioni?

Ad ogni buon conto, la terza prova d’esame, interdisciplinare e descrittiva del percorso della singola classe, come era stata originariamente progettata vent’anni fa, era una novità rivoluzionaria nel senso della “scuola dell’autonomia e delle competenze” e dava senso all’esame di stato come veniva allora ridisegnato.

Fin da subito era stata invece snaturata con la formuletta delle “tipologie” e delle domande monodisciplinari, segno che certi meccanismi del nostro sistema scolastico sanno creare degli anticorpi che respingono qualsiasi tentativo di miglioramento. Quest’idea brillante si era così ridotta a quello che qualche giornalista povero di spirito aveva ribattezzato “quizzone”, termine che ho sempre odiato.

Il fatto che – salvo ulteriori variazioni – dall’a.s. 2018/19 essa verrà abolita, è triste per chi ci aveva sperato, ma almeno ci libera da un peso inutile.

Per ulteriori chiarimenti, tra altre possibili indicazioni, ne avevo scritto qui. http://www.ilsussidiario.net/News/Educazione/2016/6/26/MATURITA-2016-Terza-prova-fra-tipologie-e-quizzone-il-consiglio-Ascoltare-bene-le-domande/712468/

(e c’è anche una chiara indicazione del posto che attende chi ha inventato termini come  “quizzone” e “tipologgia” … pronunciato così come m’ha imparato mio cuggino).

 

p.s.: al più presto faccio il mirror del pdf anche qui, visto che mi sembra meglio indicizzato

Ibridazioni fotografiche

Che la fotografia sia qualcosa di ibrido è quasi un truismo.

anaglifo con falsi colori, da fotocamera 9×12 d’anteguerra (la prima). Per ComOn 2017. Anche su TESS n. 12, 2018

Tra arte e tecnica, tra vero e falso, tra rappresentazione e oggettività… e se fossi uno di quelli bravi mi metterei a zigzagare tra le elucubrazioni di Bloch o Barthes, Weston, McLuhan o Ritchin, così per dire.

Ma sono un fotografo programmaticamente dilettante, nel senso che, quando non mi diletto, le foto non le so fare e nemmeno mi interessano: quindi l’ibridazione a cui penso è molto più quotidiana.

Dia E6 da Zeiss Ercona 1^serie, 1949, Novar 110/4.5 – inverno 2017

Legata alla voglia di riprovare qualcosa che ho fatto o visto fare, e magari al far venire voglia di pellicola a chi non l’ha mai usata… e più passa il tempo e più sono convinto che la pellicola ci vuole; o insomma ci deve essere qualche altro oggetto fatto di materia, human-readable, non solo codici binari scritti su un supporto che solo una macchina può leggere, predestinati a scomparire presto.

In un certo senso il fotogramma su acetato, o su vetro o carta, è anch’esso un’entità ibrida: tra una scena che è effettivamente esistita, fosse pure per un nientesimo di secondo, e la rappresentazione congelata e quasi eterna che ne ho su uno schermo o un foglio stampato.

Chi è nato con le foto digitali, o ci si è buttato più o meno definitivamente, ibrida di continuo le immagini e la tecnica, e perlopiù non lo sa o non ci fa caso. Il bilanciamento automatico del bianco è già un’alterazione assurda, se vogliamo parlare di teoria del colore: anche senza usare le dozzine di filtri con cui il cellulare più grezzo può pastrugnare l’immagine, prima o dopo lo scatto, distorcendone la famosa oggettività.

(Che poi, all’oggettività della foto, ci credevano solo quei gran farlocchi dei veristi o realisti di ogni razza e colore).

immagine b/n elaborata a falsi colori, da negativo 9×12, per ComOn 2017. Anche su TESS n. 12, 2018

Ibridazioni digitali che in un certo senso partono dal dodging and burning che da sempre si fa in camera oscura, o dal fotomontaggio che fin dagli albori costruiva una realtà fittizia, ma cui spesso manca proprio l’elemento di base dell’intenzionalità, della consapevolezza. E magari la serietà del gioco, rispetto alla banalità dello scherzo.

Ma sto divagando ancora. In realtà l’ibridazione a cui penso è

Dia E6 x/pro in C41, negativo 6×9 da fotocamera 9×12 con dorso Rollex, inverno 2017

soprattutto quella tecnica, mescolare apparecchi, ottiche, pellicole per vedere l’effetto che fa.
Il gioco di riassortire e mescolare e di-vertire.
Partire dal bricolage, passare attraverso il kitsch e magari fare un passo in più.

Tutto è già stato inventato, gettato e ritrovato, quindi niente di nuovo: in migliaia lo han già fatto prima e meglio di me. Ma lo stesso si può dire della musica o della scrittura, non parliamo della moda… qui ci sono alcune foto che ho realizzato durante la mostra di ComOn 2017, a S. Pietro in Atrio di Como, il cui tema  era proprio NOW IS HYBRID: due sono state pubblicate anche da TESS n. 12/2018.

Dia E6 x/pro in C41, negativo 6×9 da fotocamera 9×12 con dorso Rollex, per ComOn 2017

Anche questo lavoro fa parte dei progetti didattici con cui cerco di insegnare un po’ di foto|chimica ai ragazzi (e non solo), loro che son rimasti così indietro da essere ancora fermi ai tempi del digitale. Anzi, avremmo dovuto lavorare un po’ di più sull’installazione comasca, con una terza di Sistema Moda /Disegno di Tessuti, ma era periodo di verifiche e non siamo riusciti.

Vedo che la materialità dell’immagine li attrae e li incuriosisce – se no, come spiegare il revival della foto istantanea, quello sì poco comprensibile anche per me? (*)

tutto molto ibrido

Tranne la sprocketata sul lago (da una ur-Ercona 6×9), le altre sono state ottenute con questa signora, montando il dorso a lastre b/n con Fomapan 100 (su slitta Pentacon per lo scatto 3D), oppure il dorso 120 per il colore.
Magari ne abuso un po’, ma lei già alla nascita si chiamava Sirene, entità ibrida, e lo era ulteriormente essendo un modello Wünsche passato alla ICA, che poi sarebbe stata merged nella Zeiss Ikon nel ’26…

La testatina con le colonne di luce riflesse sul lago, sulla mia pagina Twitter, era stata ripresa con la stessa macchina durante il suo giro di prova.


(*) ma prima o poi lo provo,  con la Rolleicord e il dorso a lastre non mi servono nemmeno adattatori, solo due dita robuste…


…grazie a chi mi ha segnalato un paio di errori!

 

 

#19yearslater

Settembre andiamo, è tempo di tornare. Ogni anno, il rito del primo collegio dei docenti: al Setificio di Como, che – come Alice aveva constatato quando faceva le elementari – ha molto in comune con Hogwarts. Piove e fa fresco, dopo settimane torride. La testa che gira tra tanti pensieri.

Poi a casa ti siedi a tavola, e Alice butta lì: “papà, oggi sono 19 anni dopo“.

Che a dirla così è una frase del menga. Ma, per uno strabiliante numero di abitanti di questo pianeta, basta per far partire un frullatore tra l’aorta e l’intenzione.

Per chi non ha ripassato bene storia contemporanea, cerchiamo di essere precisi. Harry Potter nasce il 31.7.80, da due genitori ventenni (molti dei personaggi sono del magico 1960); il 31.10 dell’anno dopo subisce il tragico incantesimo, e inizia a scoprire la magia alla vigilia dell’1.9.91, quando sale la prima volta sul treno per Hogwarts.  Le sue vicende più note culminano nel duello finale con (non ti dico chi) al primo raggio del sole del 2.5.98.
In quel maggio, Muggle Standard Time, stavo preparando la cameretta per Alice che sarebbe arrivata a settembre, e mi esaltavo per il Giro d’Italia di Pantani. Ovviamente all’epoca non sapevo niente del resto, principalmente perchè non era stato ancora scritto.

L’epilogo del settimo volume vede i protagonisti già adulti che accompagnano i loro figli al binario 9 3/4, e si intitola Nineteen years later.
Primo giorno di scuola per Albus Severus.
Oggi.

Ho conosciuto Harry quando alcuni dei libri erano in giro già da un po’, vorrai mica che uno come me si metta a leggere certa roba. Però, però…  alohomora: crollo dei dubbi a prima vista.
Man mano che li leggeva Alice, leggevo anch’io le (meste) traduzioni italiane, poi li ho ricomprati tutti in inglese, mi sono riportato al passo delle uscite nostrane al momento di Halfblood Prince, e quando è arrivato The Deathly Hallows l’ho preso subito in edizione originale. Deathly Hallows
Con grande scorno della prole, ancora troppo scarsa in inglese: a mezzanotte dell’Epifania 2008, quando lei ghermì la sua italica copia (che poi giammai non lessi) io lo sapevo già quasi a memoria.
Specialmente il duello finale, che nel libro era una sceneggiatura pronta per la regia di John Ford e nel film hanno rovinato completamente.

A proposito di tutti i film, che ho rivisto chissà quante volte: so di non essere originale, ma quello che non mi stancherà mai è The Prisoner of Azkaban, e non solo per la scena migliore di tutto il ciclo (quella in cui Hermione stende Draco).

Se qui mi metto a parlare di Harry, e di tutto quel che ne ho discusso anche a scuola (con docenti di inglese e no, oltre che con tanti ragazzi/e), non finisco più. L’ho usato chissà quante volte anche spiegando chimica.
Ad Alice – la cui competenza potteriana è inavvicinabile – probabilmente ha fatto anche venir voglia di inglese, che ormai conosce troppo meglio di me (a proposito: dato che devo ripassare, penso che leggerò presto The Order of the Phoenix, che è l’unico che – per la mole – avevo lasciato indietro).

Non so chi avesse il volto più illuminato, quando poco giorni fa abbiamo scattato questa. Ma forse era il mio, quando qualche miglio più in là, affondando nella torba fangosa,  ho scattato quest’altra . Quelle con lei in primo piano ce le teniamo per noi.
Sasha ci lasciava fare, è abituata.

Lo so che per molti sono discorsi che non dicon niente.
Ma a miriadi di persone dai sei ai cent’anni le emozioni saltellano come leprechauns, e l’hashtag  #19YearsLater per tutto il giorno ha oscillato ai primi posti in funzione dei fusi orari.
Così, per dire.
Grazie, J.K.

Autumn has really arrived suddendly, this year. All is well.

 

Valtellina, trent’anni

Trent’anni fa luglio era stato decisamente piovoso.

Stava iniziando a piovere molto anche in Valtellina. Nel giro di pochi giorni, un’alluvione tremenda, devastazione, morti.

Un po’ di tempo dopo ero stato lassù, con pala e stivali – che ho riportato indietro – e macchina fotografica – che uno del luogo si è tenuto per ricordo.

Ne ho scritto vent’anni fa, in una pagina che si era persa quando ho rifatto il sito e che ripubblico.

La galleria di fotografie, che era qui virtualmente da allora, probabilmente verrà riproposta a fine estate a Lomazzo, come manifestazione collaterale al 60° del locale gruppo dell’Associazione Nazionale Alpini.

 

 

 

 

(Ah: neanche in questi ulteriori dieci anni sono più tornato in Valtellina. Magari, forse…)

SelfieChemistry & Fausto Melotti

Una bella tappa di SelfieChemistry – Foto|chimica alla sede lomazzese del Liceo Fausto Melotti di Cantù. Intanto perché mi fa sempre piacere passarci, sono millanta anni da quando ci insegnavo ed è già un po’ da quando ho visto chiudere la tradizione del glorioso Istituto d’Arte. Poi, perché la sfida è quella di far capire l’importanza della scienza della materia a chi non la incontra più – come era un tempo – tra le materie caratterizzanti del proprio percorso, mentre la chemofobia non si arresta.

Una quinta, abbastanza numerosa: sguardi perplessi o diffidenti di fronte all’idea che per due ore avrebbero sentito parlare di chimica. Addirittura, di cosa c’entra la chimica con la storia degli ultimi secoli, quella che magari ti chiedono all’esame. Ma, forse più che in altri momenti, vedo parecchio interesse che si risveglia. Chimica e storia accompagnati da casi concreti, dalla nascita simultanea della chimica e dell’arte – quando  un ominide per la prima volta preparò consapevolmente un qualche tipo di pittura – ai materiali pittorici più prossimi alla nostra cultura, dal Medioevo (e cos’è poi, il Medioevo?) a tutte le tecniche pittoriche recenti che dovrebbero conoscere. Quelle “dalla seconda rivoluzione industriale in poi”, come direbbe un libro di testo, e pazienza se stavolta dovrò lasciare da parte Perkin e la tintura, accontentandomi di Van Gogh folle per i nuovi colori. Fino alle bombolette di acrilico…  certo che nessuno di questi fanciulli ne faccia un uso poco responsabile.

E la chimica della contemporaneità, quella che permette di generare, riprodurre, fissare una immagine,  su pellicola o in digitale.
Con una parte sperimentale che, una volta di più, fa drizzare le antenne quando entrano in gioco le vecchie signore: la mia Canon F1 eponima, qualche cucciolo mansueto come la Canon Demi o aggressivo come una Perfekta in total black. Cromo, bakelite, acetato di cellulosa, poliestere… e di colpo la ressa quando si tratta di guardare nel vetro dalla Avus, per vedere il mondo capovolto in 9×12. Non abbiamo tempo per un set completo – anzi, grazie alla paziente collega  che ci ha consentito di “sforare” con i tempi! – ma se vedere uscire un negativo dalla tank è sempre magico per me, figurati per chi lo vede la prima volta, e magari deciderà che sarà solo la prima di tante.

La cosa bizzarra è che non abbiamo fatto nemmeno un selfie, anzi nessuno si è messo a documentare la lezione, e non è che ci mancasse l’hardware: ma abbiamo una foto del cortile di fronte, e in fondo anche Niepce aveva iniziato così. La comprimo un po’ o la vuoi a 600 megapixi? 😉

Tre idee riassuntive, forse:
– la chimica e l’arte sono due aspetti essenziali, complementari e spesso coincidenti del nostro essere umani
– il mondo è troppo più vasto di quel che si vede a scuola, ma la scuola può essere capace di allargare i tuoi orizzonti
– e già che ci siamo:  là fuori ci sono tantissime fotocamere splendidamente funzionanti, che non deperiscono in pochi anni come le costose digitali, che magari ti aspettano nell’armadio del nonno prima ancora di cercarle in rete. Che hanno visto storie grandi e piccole e che meritano di vivere ancora, per fotografare in modo creativo, moderno, economico.

Come direbbe Ollivander, spesso è la macchina che sceglie il fotografo: forza, ti sta cercando. Se è ormai chiaro che il 2017 è l’anno in cui la pellicola ritornò alla grande, tu che fai l’artista non sarai mica così indietro da usare ancora il digitale?

 

 

Come bere un bicchier d’acqua, dopo 15 anni.

Era cominciato quasi per caso. Nel 2001 insegnavo al Jean Monnet di Mariano Comense, dove ero tra i responsabili della sperimentazione in Chimica Ambientale (gran bella esperienza, ma non divaghiamo).
Avevamo avuto una attenzione speciale da Federchimica, che in diverse circostanze ci aveva già proposto come esempio di qualità.

Bicchier d'acqua 2016Il dott. Rossi, storico dirigente della struttura, un giorno mi manda a chiamare e mi chiede se, essendo un insegnante ed un divulgatore, fossi in grado di allestire uno spettacolo di tema chimico. O, insomma, qualcosa di meno ovvio della solita conferenza, per una attività di orientamento verso i ragazzi delle scuole medie, che mostravano sempre meno attenzione per gli Istituti Tecnici o per i Licei Scientifici Tecnologici (bella cosa anche quelli, pace all’anima loro, ma continuiamo a non divagare).

Solo che il tempo disponibile per idearlo, organizzarlo, provarlo e metterlo in scena era ridicolo: pochissimi giorni,  come dire “lo voglio per ieri”. Avuto l’ok del Preside, ho chiesto ai ragazzi se ci fosse qualche volontario per provare a metter su una specie di recita a soggetto – il massimo che si poteva pensare. Con i sei di quella prima “squadra”, basandomi sulle loro capacità espressive, ho allestito poche scenette, che alternavano piccole dimostrazioni in cui coinvolgere il pubblico, a dialoghi accompagnati da un PPT.

La trama, esilissima, prevedeva che io ed alcuni studenti fossimo stati apparentemente chiamati per parlare di chimica, dicendo che in fondo “è facile come bere un bicchier d’acqua, e c’è anche quando beviamo un bicchier d’acqua”. A questo punto un disturbatore si sarebbe alzato dal pubblico sostenendo che non poteva esser vero, e così gli altri studenti avrebbero cercato di convincerlo del contrario.

La scelta dei temi? quelli in cui avevo delle esperienze professionali e anche del materiale illustrativo già pronto (pare strano, ma in quell’epoca non era facile scaricare qualsiasi cosa dal web).
La chimica ambientale e la depurazione delle acque; le fibre, i tessuti ed il colore; la chimica per i beni culturali; gli imballaggi flessibili. Chiudevo cedendo il mio camice all’antagonista e dicendogli che era benvenuto nella famiglia dei chimici.

Bontà del pubblico e di molte persone qualificate che stavano in platea, un successo imprevisto. Al punto che nel giro di poco tempo eravamo stati chiamati a rappresentarlo in altre sedi, al Museo della Scienza e della Tecnologia, presso esposizioni divulgative, una volta persino al Broletto di Milano sulla scenografia del “Processo a Galileo” di Strehler, che era stata collocata per un’altra iniziativa (e sentivo dall’alto lo sguardo di Tino Buazzelli…). Il decennale per 2011IYC, e così via.

Al Monnet, e poi al Setificio, era in breve diventato un must anche per le giornate di orientamento interne (in scolastichese, open days).
Da allora siamo andati in scena decine e decine di volte, con un centinaio di attori diversi, pur con la difficoltà di spostare una squadra di ragazzi, impegnati con la scuola e solitamente minorenni.

Ho modificato gli episodi, inserendone, togliendone, cambiandone il tono. Alcune volte ho anche ceduto ad un altro il mio ruolo di capocomico.
Fedele ai vezzi teatrali, restano intangibili alcuni elementi rituali: la prima scena è sempre assegnata a una ragazza, meglio se con l’aria un po’ da maestrina; si chiude sempre con lo scambio del camice; io ho sempre il papillon, che annodo senza specchio (e senza rete) davanti al pubblico che entra in sala.
Sergio Palazzi, Come bere un bicchier d'acqua

Oggi 15.12.16, ancora in Assolombarda per Federchimica dopo 15 anni, ho ritirato fuori quello stesso papillon. Peccato che il colore della barba sia un po’ diverso, come mostra il fotogramma di un antico VHS…

Poi dovremmo parlare anche dello spettacolo e di perchè evidentemente continua ad essere appezzato, di comunicazione nella didattica e nella divulgazione, di come si potrebbe migliorarlo, eccetera.
O del mio ringraziamento a chi ancora continua a consentirmi di metterlo in scena (e penso soprattutto ad una persona).

Ma ci sarà tempo un’altra volta.DSC08604rifrif
Inchino e sipario: fra due giorni siamo di nuovo in scena al Setificio.

Flipped classroom & chimica

Nel numero di gennaio (2016) del Journal of Chemical Education si è trattato con attenzione un tema che ricorre nella letteratura pedagogica degli ultimi anni,  quello della Flipped Classroom o classe capovolta. Ovviamente lo sguardo era rivolto soprattutto all’insegnamento nei primi anni del college, data anche la differenza strutturale del sistema scolastico USA dal nostro.

Per classe capovolta, detto in parole molto sbrigative, si intende una metodica (o meglio, un insieme di tecniche e procedure) in cui la lezione viene preceduta, non seguita, dallo studio/approfondimento domestico, per poi trovare il suo sviluppo nella lezione in cui il docente tende a fare più il mediatore del confronto che non il “dispensatore di sapere”. Il tutto con una serie di varianti che tengono conto anche della fascia d’età: le elementari probabilmente richiedono una didattica differente dal triennio di un istituto tecnico o dall’università. E mi fermo ad una descrizione approssimativa perché, come capita, sono scettico di fronte a categorizzazioni troppo formali ed astratte.

Proprio al mondo universitario (primi anni di college) si rivolge l’articolo di M.D. Ryan ed S.D. Reid sulla prestigiosa rivista. Con una pratica tipicamente anglosassone, concentrata non sulle intenzioni ma sui risultati, hanno voluto vedere se la cosa funzioni: facendo un esteso confronto quantitativo tra le prestazioni di diversi gruppi di studenti che sono stati esposti a questa metodologia, o a quelle di carattere frontale più tradizionali.

Va detto che a me questo approccio lascia un certo livello di dubbio, perché si basa sull’idea che in tutte le scuole si debbano insegnare le stesse cose che vengono poi valutate con test omogenei, quando al contrario il problema delle nostre sclerotiche scuole è che sono cronicamente in ritardo proprio sull’attuazione dell’autonomia e della responsabilizzazione individuale. Le quali peraltro sono in antitesi alla logica dell’esame di stato e del valore legale del titolo di studio, ma transeat.

Comunque, lo studio sistematico ha mostrato che, quando si lavora a classi capovolte, solo per le fasce più deboli dell’utenza si è misurato un miglioramento, per quanto non eccezionale. Il che non sarebbe un male, a patto che il gioco valga la candela.

Il fatto è che io stesso uso da una vita qualche sistema di questo tipo. Lo stavo facendo anche oggi, in diverse classi. Lo faccio ancora più spesso, da quando ci sono gli strumenti di interazione web tra classe e docente. Ne ho lasciato diverse tracce nella mia bibliografia.
E non penso di inventare niente: lo trovo una versione aggiornata del “Metodo Gutenberg”, che un vero rivoluzionario come Frank L. Lambert aveva teorizzato e strutturato nella didattica chimica già prima che io nascessi… In un certo senso, è una evoluzione di forme didattiche proprie da sempre dei nostri Istituti Tecnici.

Ma non si può nascondere che ci siano dei problemi, e che comunque (neanche) con questo metodo si facciano miracoli.
Ho la sensazione che, se non ci si confronta con prove quantitative standardizzate, in cui inevitabilmente una tecnica “diversa” (che crea almeno nel primo periodo stimoli ed interesse), può segnare punti a favore delle categorie deboli,  ma si segue invece la dinamica della classe in modo più analogico e contestualizzato, le cose siano meno chiare.

Perché usare questo metodo è impegnativo più per lo studente che per l’insegnante, che pure ci si deve applicare parecchio. Richiede costanza. Se praticato come unica strategia, può facilmente mandare in sovraccarico i più motivati, e lasciare freddi e apatici proprio quelli che vorremmo cercare di recuperare. E alla fine portare molti a preferire le lezioni frontali più bieche, ritrite e nozionistiche: perché danno l’impressione di farti arrivare più facilmente e con meno sforzo a quei famosi livelli minimi – altro slogan particolarmente deleterio – grazie ai quali la sfanghi e vai avanti.
Almeno finché varrà la regola che si va a scuola non per imparare di più e meglio, per vedere gratificate – dentro e fuori la scuola – le proprie competenze, ma semplicemente per uscirne il più in fretta possibile con lo stramaledetto pezzo di carta.

Insomma, né questa né nessuna altra ricetta standardizzata, calata dall’alto ed uguale per tutti, mi sembra possa essere ipso facto il sistema vincente. A prescindere dall’ennesimo slogan d’Oltreoceano con cui lo si definisce. Per decidere come  insegnare si dovrebbe ripartire ogni volta da cosa e perchè si insegna; e dalle differenze che ci sono tra classe e classe, e tra i diversi studenti di ciascuna. E poi, volta per volta, assumersi la responsabilità di rischiare la strada che può sembrare più efficace: magari, proprio questa.

Leggo la conclusione dell’editoriale di N.J. Pienta sul  J. Chem. Ed.

Flipping the classroom sounds easy. Making it work for all of our students is the bigger challenge. Making sure we have the optimal environment for optimal student learning is our duty.

O, per alleggerire il discorso, parafraserei una canzone di moolti anni fa:

Non esistono leggi qui a scuola: basta essere quello che sei. 
Lascia aperta la porta del cuore e vedrai che una classe è già in cerca di te…