L’accompagnatore di antiche signore

Questo era l’articolo di presentazione sulla pagina di fotografia di kemia.it nella vecchia versione.

L’ho retrodatato 20.10.2006 perchè era in quei giorni che stavo allestendo il sito.

Adesso gli anni sono circa 40 e le antiche signore che ho frequentato sono molte di più: anzi, da un po’ di tempo sto insegnando a tante/i ragazze/i quante soddisfazioni ti può dare la cosa 🙂

25.3.2016


 

Sono una trentina d’anni che faccio l’accompagnatore di macchine fotografiche.

Soprattutto di quelle che sono ormai anziane e sole, e apprezzano che qualcuno le porti a spasso come quando erano giovani ed invidiate. Quasi tutte, va aggiunto, hanno già avuto altri e più validi compagni prima di me – ti danno anche l’ansia del non deluderle.

Di solito sono compagnie relativamente vistose, ti pesano (sul collo), per cui non è che le porti a spasso solo per il gusto di farlo, vuoi combinarci qualcosa. Dopo qualche giorno, ma non è raro che l’attesa si prolunghi per settimane, da quegli incontri nascono delle serpi di acetato di cellulosa, frammentate da una quarantina di rettangoli, molto spesso grigi. A volte sono invece degli striscioni più corti e larghi divisi in dodici parti quadrate, come in uno zodiaco romanico. I primi frammenti erano anche loro quadrati, molto più piccoli, ma di quelli non ne nascono più. Ogni tanto ne sono apparsi altri di formati ancora più impensati.

Per non far pesare troppo a quei ritagli la loro nascita nella colpa, bisogna visitarli, guardarli con attenzione e magari presentarli agli amici, cosa che faccio molto raramente, non solo per pudore ma anche per pigrizia. Non è comodo e richiede tempo (e soldi).
Quelli grigi, orgogliosi della loro equivoca origine, richiedevano fino a qualche anno fa un ulteriore passaggio da una maleodorante sala parto, a luci rosse o clorose. Gli altri, di essere affidati a mani altrui, spesso infide, o di finire sotto un faro in un ambiente in penombra, un tempo anche fumoso, con qualche spettatore annoiato.

Da qualche anno chiedo aiuto all’elettronica giapponese, grazie a quelle macchinette che, tra gemiti e ronzii, mettono ulteriormente in luce le metafore della scomparsa in una fenditura o del giacere immobili su un letto illuminato. Perlomeno, con questi ulteriori passaggi, guardarli su un monitor, ingrandirli all’inverosimile, alterarli in ogni modo e magari copiarli su carta è molto più rapido ed efficiente (*).

Così siamo qui, e ne tiro fuori un po’. Molte fra loro riguardano sassi o metalli, erosi dal tempo o trasformati dalla pazienza umana.
Non venitemi a dire che la chimica inorganica non è affascinante.

(*) Dicono che tutto questo si può fare direttamente e senza passare dal via, con quelle cosine piccine che al posto di consumare pellicola consumano batterie (ricaricabili). Vero. In effetti lo faccio. Anzi, mai fatto cosi mostruosamente tanti scatti come da quando a Sasha ho regalato una digitale. Compatta, non purpurea, intendo. Ma non ho ancora trovato il sistema di infilarci dentro un Kodachrome. Vuoi mettere la differenza tra vedere subito che hai perso l’istante decisivo perchè l’oggetto prima di fare click doveva pettinarsi i chip e truccarsi i chop, e aspettare magari un mese la busta del Kodachrome di ritorno dagli USA, sapendo però già prima cosa ci vedrai dentro?